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I VIOLINI DEL BALLO
(LES VIOLONS DU BAL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 aprile 1975
 
di Michel Drach, con Jean-Louis Trintignant, Marie-José Nat (Francia, 1973)
Michel Drach era, negli anni dell'occupazione nazista in Francia, un ragazzino ebreo di dieci o dodici anni. Suo figlio interpreta, nel film, la parte del bambino. Sua moglie, Marie José Nat, presta il suo viso sensibile alla figura della madre; e alla moglie di Trintignant-Drach, poiché il film si svolge su due piani, il ricordo autobiografico del dramma adolescenziale e storico, girato a colori, e, in montaggio parallelo, le vicissitudini contemporaneo (con l'immancabile corollario degli studenti sulle barricate) del regista Drach, alla ricerca di un produttore che gli finanzi il film. Questa parte, girata in bianco e nero.

Come si vede, un'opera ambiziosa. Drach non ha voluto ricreare soltanto le atmosfere allucinanti del dramma ebraico. Ma ha tendere un parallelo costante tra quel dramma e quello dei giorni nostri: dagli studenti sulle barricate all'impossibilità per l'artista di esprimere il proprio pensiero, a causa dell'ignoranza e dell'insensibilità dei produttori. In più, come non bastasse, anche uno scoperto trasferimento freudiano dalla moglie alla madre, o viceversa se volete. Tutto questo mi sembra veramente troppo, anche per un uomo di cinema che non manca di sensibilità, e soprattutto di pudore, come Drach: e certi elogi entusiastici della critica francese all'uscita del film, dimostrano chiaramente in che strano pantano si dibatta l'ispirazione di quel cinema.

Pudore di Drach: che ha la grande accortezza di non forzare mai le tinte, attenendosi sia nella recitazione degli attori che nello svolgimento della sceneggiatura (anche se in questa non mancano alcune incredibili incertezze), e soprattutto nell'uso del linguaggio, ai colori pastello, all'allusione dei sentimenti, ad una delicata fusione dei raccordi narrativi. L'emozione del film, l'autenticità della sua ispirazione ne escono tanto più esaltate.

Accanto a queste belle doti sembra evidente l'impotenza di Drach nel portare a compimento quel discorso globale, totale, storico che evidentemente voleva fare. Tanto le sue immagini «storiche» appaiono sentite, così quelle attuali sono di uno schematismo sconsolante. La figura del produttore è scolastica, così quella del regista, del cameramen, dello studente. Tutto il rinvio al mondo contemporaneo, quindi il desiderio dell'autore di sottolineare la continuità storica del male, risulta più che laborioso, perché la meccanica degli incastri non funziona, perché le figure sono elementari.

Non solo: ma manca il fascino delle immagini storiche di Drach, l'impiego dei filtri velati che poetizzano le immagini, la scelta certamente «bella» delle inquadrature, la ricerca del paesaggio, i cappellini ed i turbanti della pur conutant Maria José Nat, finiscono per ritorcersi contro il significato del racconto. Se da un lato donano una serenità intelligente alla visione, dall'altro conferiscono un'impressione sgradevole: che si sia finito per fare dell'estetismo su uno dei momenti più tragici della storia dell'uomo.


   Il film in Internet (Google)

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